[cs_content][cs_section parallax=”false” separator_top_type=”none” separator_top_height=”50px” separator_top_inset=”0px” separator_top_angle_point=”50″ separator_bottom_type=”none” separator_bottom_height=”50px” separator_bottom_inset=”0px” separator_bottom_angle_point=”50″ _order=”0″ style=”margin: 0px;padding: 15px 0px 0px;”][cs_row inner_container=”true” marginless_columns=”false” style=”margin: 0px auto;padding: 0px;”][cs_column fade=”false” fade_animation=”in” fade_animation_offset=”45px” fade_duration=”750″ type=”1/1″ style=”padding: 0px;”][cs_element_headline _id=”4″ ][cs_element_image _id=”5″ ][cs_text class=”cs-ta-justify” style=”font-size:15px;”] Da poco ho letto un piccolo saggio di Erich Fromm, psicologo sociologo e filosofo tedesco, sulla creatività. Ora, il buon vecchio e caro Fromm non parla di creatività in quanto atto creativo (che porta quindi a quello che definiamo il prodotto artistico) ma come atteggiamento, un certo approccio alla realtà caratteristico di determinate persone. Ovvero: si può essere creativi senza fare nessun tipo di atto artistico. Creatività è la capacità di vedere (o di essere consapevoli) e di rispondere. Benissimo, gran sospiro di sollievo, sono una persona creativa, è ovvio: so vedere e so rispondere. A questo punto Fromm mi metterebbe una mano sulla spalla e con sguardo da vecchio saggio cinese chiederebbe “Sei sicura, piccola Chang Ling, di saper vedere?”. Si. Bacchettata sulle mani per la troppa sicurezza: “E allora dimmi: cosa vedi?”. Io e Fromm questa discussione ce l’avremmo in un parco (perché coi saggi si parla sempre all’aperto) e io potrei facilmente rispondere “Davanti a noi, per esempio, c’è un albero”. Ma starei davvero guardando quell’albero? O semplicemente risponderei grazie alle mie conoscenze cognitive che mi dicono che una oggetto con tronco, rami e fronde si chiama albero? “Stai semplicemente affermando di aver imparato a parlare, vale a dire di aver imparato a riconoscere un oggetto concreto e a classificarlo sotto il termine corrispondente alla classe cui appartiene.” Altra bacchettata sulle mani. Questo è di fatto quello che facciamo di solito: ci muoviamo per il mondo senza guardare effettivamente ciò che ci sta intorno ma catalogandolo in base alle nostre conoscenze. Lo stesso atteggiamento ce lo abbiamo anche con le persone che ci stanno vicine: le mettiamo in una data casella, gli diamo un ruolo e poi, per la maggior parte del tempo, smettiamo di vederle. In questo modo ci precludiamo totalmente la capacità di stupirci. Da bambini la perplessità e la meraviglia sono atteggiamenti costanti, perché dobbiamo imparare a muoverci in un mondo completamente nuovo e facciamo esperienza del tutto come se fosse sempre la prima volta: per quante volte verrà lanciata la palla sarà sempre incredibile il fatto che rimbalzi. Ma poi si sa, si cresce, e vogliamo dimostrare di sapere già, di conoscere; e così, la meraviglia diventa sinonimo di ignoranza, qualcosa da nascondere con un “si certo, lo sa già… e quindi?”. Sempre più raramente ci apriamo spazi di realtà, in cui siamo totalmente consapevoli di ciò che abbiamo davanti, in questo preciso momento e sotto questa esatta luce. Ma l’unico modo per poter emettere una risposta realistica, e quindi creativa, è quello di vedere una persona o un oggetto nel senso della sua realtà completa. Fortunatamente per tutti noi giovincelli seduti su panchine davanti ad alberi, la creatività si può allenare come si può allenare l’attenzione, l’ascolto e il senso di meraviglia. Così in quella panchina con Fromm, ad occhi sgranati, potremmo dire “Non è incredibile? Le foglie cadono”. E sarà meraviglioso.

Debora Benincasa

Da leggere  La creatività  di E.Fromm R.May C.R. Roger  A.H Maslow M. Mead

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