[cs_content][cs_section parallax=”false” separator_top_type=”none” separator_top_height=”50px” separator_top_inset=”0px” separator_top_angle_point=”50″ separator_bottom_type=”none” separator_bottom_height=”50px” separator_bottom_inset=”0px” separator_bottom_angle_point=”50″ _order=”0″ _label=”Intro” style=”margin: 0px;padding: 15px 0px 0px;”][cs_row inner_container=”true” marginless_columns=”false” _label=”New Item 3″ style=”margin: 0px auto;padding: 0px;”][cs_column fade=”false” fade_animation=”in” fade_animation_offset=”45px” fade_duration=”750″ type=”1/1″ style=”padding: 0px;”][cs_element_headline _id=”4″ ][cs_element_image _id=”5″ ][cs_text class=”cs-ta-justify” style=”font-size:15px;”] C’era una volta un paese molto molto lontano, dove andavano a vivere tutti i parassiti della terra: ci andava il nero (perché negro non si dice), il barbone, i cinesi, le puttane che mostrano il culo sulle loro sedie di plastica, il sudicio e il travestito. Le strade erano così pericolose che nessuno ci poteva passare ma tutti ci potevano vivere ci viveva: lo spacciatore che vende coca e biciclette, l’ubriaco e i ragazzi coi cani, lo storpio e il mendicante. Ma fra tutti – tra il frocio, il venditore di rose, il malato di AIDS – fra tutti, la più parassita di tutti era la zingara. La zingara stava di fronte alla chiesa e faceva piangere il suo bambino, gli altri li mandava a mendicare da soli, li storpiava e insudiciava così che facessero più pena, e uno lo aveva rubato perché lo voleva con gli occhi azzurri. Ogni tanto capitava che quel mondo lontano lontano apparisse in TV, e allora quelli del mondo vicino si intenerivano iniziavano a mandare i vestiti vecchi per non doverli buttare e mandavano i giocattoli vecchi per non doverli buttare e adottavano i bambini a distanza per non doverli buttare. Dopo tutti si sentivano più buoni e fieri di loro stessi, e si facevano i complimenti a vicenda, e mentre si guardavano negli occhi e si abbracciavano sentivano di essere delle brave persone. Un giorno, la persona più brava di tutte, che chiameremo Francesco perché sapeva parlare con le bestie e con i poveri, decise di farsi santo e scese nel paese di molto molto lontano per salvare qualcuno. E, proprio perché era santo, scelse, fra tutti i poveri, quello peggiore di tutti: il bambino della zingara. Subito gli cambiò il nome lo chiamò Paolo così che fosse più simile a tutti gli altri e si sentisse meno solo. Lo lavò più volte e lo strofinò bene lo bagnò nel profumo così che si sentisse meno da dove veniva, gli insegnò l’inglese e le buone maniere, gli spiegò come colorare dentro i bordi, e come sorridere abbassando leggermente la testa – così da non fare paura a mostrare sempre le mani – così che la gente non pensasse che stesse rubando. Tutti si complimentavano con lui, e dicevano che non sembrava proprio che fosse uno zingaro e che i suoi capelli erano così chiari adesso da sembrare quasi biondi, e quando Paolo diceva grazie tutti applaudivano di gioia. Francesco era davvero un santo, e dava da mangiare al bambino tutti i giorni e la sera gli dava il bacio della buonanotte come faceva con i bambini normali. Si arrabbiava molto solo quando Paolo gli chiedeva dove fosse la sua mamma, allora iniziava a gridare forte, che a Paolo metteva paura, e gli sputava in faccia che era un ingrato, dopo tutto quello che aveva fatto per lui, e gli dava i ceffoni delle “buone maniere” e lo metteva in punizione al buio così che passasse la sua naturale insolenza. Così Paolo aveva smesso di fare domande e si era limitato a sorridere e a chinare la testa ma ogni tanto continuava a tornare alla chiesa del paese di molto molto lontano e su quelle scale la sua mamma non c’era più. Ma questo non avrebbe dovuto importargli perché adesso sapeva dire grazie anche in inglese: thank you.

Debora Benincasa

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