[cs_content][cs_section parallax=”false” separator_top_type=”none” separator_top_height=”50px” separator_top_inset=”0px” separator_top_angle_point=”50″ separator_bottom_type=”none” separator_bottom_height=”50px” separator_bottom_inset=”0px” separator_bottom_angle_point=”50″ _order=”0″ _label=”Intro” style=”margin: 0px;padding: 15px 0px 0px;”][cs_row inner_container=”true” marginless_columns=”false” _label=”New Item 3″ style=”margin: 0px auto;padding: 0px;”][cs_column fade=”false” fade_animation=”in” fade_animation_offset=”45px” fade_duration=”750″ type=”1/1″ style=”padding: 0px;”][cs_element_headline _id=”4″ ][cs_element_image _id=”5″ ][cs_text class=”cs-ta-justify” style=”font-size:15px;”] Natale. Tavoli lunghi, risa, cibo, tanto cibo da scoppiare. Famiglia che si riunisce. Storie. Ricordi che si incastrano si confondono a costruire un castello di carte dai mille corridoi. Personaggi che si nascondono negli angoli di una casa che ha visto crescere due generazioni.  La Nonna Mariuccia che attraversa la cucina china sulla sua seggiolina; che non si fa cucinare il pranzo dal genero per paura che la avveleni; che vive rinchiusa in casa nutrita di Buondì Motta e soap opere che riguarda almeno tre volte al giorno monopolizzando il televisore e che sparisce quando ritira la pensione, la spende completamente in tre giorni di follie, mercati e feste in giro per Napoli e torna solo quando l’ha finita. Il Nonno, il suo povero, santo, marito, che cammina con il cappotto aperto quando tira vento per proteggere la Nonna. Così buono che quando quel cappotto glielo rubano, lui chiamato sulla tromba delle scale dalle grida dei vicini lascia scappare il ladro, perché “Se se l’è arrubbat, vo ricere ca teneva chiù bisogn e’ me”. Rita, loro figlia, che ha girato il mondo assieme a suo marito scapestrato, che è stata in Ispania, a Parigi e pure nella Germania; che ha fatto una vita di sacrifici per i figli per farli studiare; che si è ammalata a vent’anni e lo è rimasta sempre, che doveva morire così tante volte ed è ancora viva. Il focolare accogliente e soffocante. Angelo, il sopracitato marito, che è fuggito per la prima volta dall’Italia a diciassette anni per disertare, che ha girato il mondo, lui venuto dal niente, figlio di un ciabattino comunista, che ha commerciato e truffato in molti paesi diversi; che non stava mai a casa, che fuggiva da tutti i malanni e le malattie, che quando tornava terrorizzava tutti, che veniva un giorno dalla Sicilia e voi non l’avevate mai vista, vi metteva in macchina e partivate. Che ha avuto molte donne, più sicuramente di quante se ne sappia, ed è sempre tornato da una sola.  E poi i proverbi e le storie.  Fra Nicola, il frate peccatore di gola, che doveva fare la dieta e si era scritto sulla lavagnetta rimane riune Nicola – domani digiuna Nicola. E che ogni giorno si svegliava e “Ahhhh rimane riun Nicola”, e Nicola nun riunav maje. “Mamma dai, li faccio domani i compiti”. Se se, rimane riun Nicola… Passano i Natali. La tavola si svuota. Meno gente, meno cibo. Meno storie. La memoria inciampa, il racconto si perde nelle cose da fare, nella ripetizione un po’ spenta e stanca. Il castello diventa un buio labirinto diroccato, in cui è difficile orientarsi. Un’Odissea, un poema omerico sparso e confuso, frammentato, senza un filo, giocoso e serio, evanescente. Come si salva una cosa così, come si raccoglie, come si conserva, come la si regala. La verità è che non lo so, ma mi piacerebbe provarci.

Jacopo Riccardi

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