L’Orsa è una donna imponente, con la voce sporca di sigarette e le braccia pelose; a Falchera la conoscono tutti, anche quelli che non la conoscono. È la fine di febbraio e lei si sveglia di colpo, sente il sole che le rimbalza sugli occhi ed è in piedi. Tossisce, si dà due pacche sulle cosce e inizia ad aprire tutte le finestre, entra nelle stanze dei figli che dormono e spalanca tutto, aria e luce su adolescenti addormentati e indifesi. Poi si arma di tavolino e seggiole da campeggio e percorre gloriosamente i sette piani di scale che la separano dal cortile condominiale. Vive in case popolari, con balconi sottili e questo fazzoletto di terra, coperto da fili d’erba un po’ spauriti e sassoletti che scivolano sotto i piedi. Nella desolazione di quel cortile fiorisce, nell’angolo in fondo a destra, un nespolo.
L’Orsa è convinta di aver sputato lei la nespola-madre, e poi di aver tirato su l’albero, di averlo cresciuto a forza di canzoni di Ramazzotti, acqua e merda di cane. Il nespoletto ha resistito e adesso è cresiuto. L’Orsa ci spalanca sotto il tavolino, apre la sedia pieghevole e appoggia il thermos di caffè. Grossa signora con pigiama a fiorelloni rosa e pecorelle azzurre con infradito e calzettoni bianchi, incastrata in piccola sedia da campeggio. Quello è il suo momento preferito dell’anno. Più di Natale o Capodanno, più del compleanno del Figlio Piccolo e più di quando l’Amica le regala il massaggio ai piedi. Quello è il suo inizio di primavera, l’inaugurazione delle colazioni fuori, delle grigliate e delle domeniche al parco. Chiude gli occhi, lungo sorso di caffè caldo, vento a tamburellare sulle guance e qualche uccellino stonato a gracchiare nel silenzio della mattina. Tutto sembra perfetto.
“Eccola là che ricomincia, si dovrebbe vergognare, altroché”
Occhi di orso che si spalancano di rabbia, corpo pronto a scattare verso la preda, Leonardo di Caprio schiacciato dalla bestia pronto a vincere il premio Oscar. Dall’altra parte del cortile, chiavi in mano: La Vecchia del Piano di Sopra. Il vento soffia, la polvere del cortile si alza, sassoletti rotolano da una parte all’altra del campo. Occhi di Vecchia contro corpo di Orsa.
La Vecchia era nata in quelle case, l’Orsa era arrivata quindici anni prima. I vicini l’avevano accolta con una raccolta di firme per mandare via lei e la sua famiglia. Non li avevano mai visti ma sapevano con certezza di non volerli: perché erano rom e venivano dai campi. Quando era arrivata e aveva visto i fogli della raccolta firme si era sentita qualche demone aggrapparsi al petto e stringere forte, aveva abbracciato i bambini e si era ripromessa di non perdonare mai. Non avrebbe perdonato quelle persone che non erano disposte neanche a guardarla negli occhi, che non le avevano mai parlato ma sibilavano cattiverie. Era salita fino a casa a testa alta col marito e i tre figli piccoli.
Avrebbe voluto sputare davanti a ogni porta, urlare bestemmie sguaiate, gettare spazzatura giù dal terrazzo. Avrebbe voluto iniziare una guerra lenta e piena di vittime. Voleva proprio vedere chi avrebbe resistito di più. Lei sapeva non mangiare per due giorni interi, non pativa il freddo, da ragazzetta aveva tirato un pugno al compagno più alto di scuola, era scappata dalla guerra dei Balcani e aveva vissuto nel campo nomadi che anno dopo anno si era riempito di spazzatura e di topi. Aveva resistito a tutto, figurati se non sarebbe sopravvissuta a quei vicini codardi che la osservavano da dietro lo spioncino della porta. Ma proprio mentre stava preparando la sua bella dose di saliva e catarro aveva pensato ai suoi bambini: voleva che si facessero degli amici lì in quel nuovo quartiere. Ingoiò tutto e decise di trattenere un po’ del suo odio in cambio di serenità, e decise di preparare torte. Mani di madri che prendono quelle dei bambini e li trascinano lontani dal tavolino pieno di cioccolato. Aveva festeggiato tutti i compleanni dei figli in cortile, invitando tutti i vicini; piano piano quelli avevano iniziato ad assaggiare, prima schizzinosi, poi sempre più voraci. L’Orsa li aveva ingrassati e addolciti e ora anche dagli altri palazzi ogni tanto venivano a trovarla nel cortile che era diventato il suo regno.
Tutti ora sembravano tranquilli; tranne quella signora là, la malefica Vecchia del Piano di Sopra. Con lei non c’era niente da fare, era magra come un insetto stecco e cattiva come la Morte.
“Voi zingari sembrate convinti di essere padroni di tutto, ma questo qua è anche il mio cortile!”
Quella Vecchia ora le stava davanti, come tutti gli anni, e mentre l’Orsa si godeva il suo primo caffè sotto il suo nespolo, sputava cattiverie con le chiavi in mano.
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Debora Benincasa
Disegno di Marco Gottardello