[cs_content][cs_section parallax=”false” separator_top_type=”none” separator_top_height=”50px” separator_top_inset=”0px” separator_top_angle_point=”50″ separator_bottom_type=”none” separator_bottom_height=”50px” separator_bottom_inset=”0px” separator_bottom_angle_point=”50″ _order=”0″ _label=”Intro” style=”margin: 0px;padding: 15px 0px 0px;”][cs_row inner_container=”true” marginless_columns=”false” _label=”New Item 3″ style=”margin: 0px auto;padding: 0px;”][cs_column fade=”false” fade_animation=”in” fade_animation_offset=”45px” fade_duration=”750″ type=”1/1″ style=”padding: 0px;”][cs_element_headline _id=”4″ ][cs_element_image _id=”5″ ][cs_text class=”cs-ta-justify” style=”font-size:15px;”] Rasid Nikolic è stato uno degli aiuti più preziosi che abbiamo incontrato mentre lavoravamo a Era meglio nascere topi. Il suo modo di raccontare la cultura rom è magico e appassionante ed è per questo che crediamo fermamente che il progetto a cui sta lavorando sarà un lavoro che lascerà i cuori pieni. Ne abbiamo parlato con lui nel suo nuovo laboratorio in Barriera di Milano tra marionette, strumenti da intaglio e patatine. Il progetto sta iniziando a muovere i primi passi: sarà uno spettacolo (o forse una performance, più libera) di marionette in più capitoli, da fare rigorosamente in strada, in cui ogni personaggio porterà un frammento di storia, un nodo o una riflessione rispetto all’identità rom. Il percorso sarà lungo e lento, ci vuole tempo per costruire le marionette, ed è un modo, in fondo, per attraversare dei temi che riguardano Rasid in prima persona, un atto quasi psicologico in cui attraversando il legno, attraverserà anche se stesso e ciò che sta cercando. Dopo un percorso lungo di spettacolo di intrattenimento, dove se mi andava e mi sentivo tranquillo parlavo della comunità rom ora penso sia arrivato il momento di fare qualcosa in più. La spinta per il progetto è nata in questo ultimo periodo osservando le rivolte che stanno scuotendo l’America e avvertendo un parallelo con il popolo rom: entrambe le comunità sono uscita da una schiavitù ed entrambe continuano a pagare le conseguenze, in termini di emarginazione disuguaglianza e oppressione, di quel periodo. Tuttavia, fra le due comunità ci sono moltissime differenze: Partiamo dal fatto che la comunità rom è una minoranza piccolissima, al contrario della comunità nera e in più noi non siamo uniti, siamo una comunità incredibilmente frammentaria. Solo dall’esterno e con una visione superficiale possiamo sembrare parte di un unico e affiatato gruppo, ma al nostro interno sono tantissime le diversità e le storie del nostro popolo. Il che è una nostra ricchezza ma, per quel che riguarda le rivendicazioni, è sicuramente una fragilità.  Inoltre, la storia della comunità nera è conosciuta, tramandata, se ne conoscono i simboli, i nemici, si conosce il lavoro nei campi e si sono fatti molti discorsi e rivendicazioni su ciò che sarebbe dovuto avvenire dopo la liberazione degli schiavi e che non è avvenuto (come la ridistribuzione delle terre). La schiavitù dei rom, avvenuta in Romania fino a metà dell’800 è invece praticamente sconosciuta anche al suo stesso popolo. Questa perdita di memoria favorisce l’oppressione e la mancata ribellione a regole, leggi e atti esplicitamente emarginanti e crudeli (v. la creazione e ghettizzazione istituzionale, in Italia, dei campi rom). Non a caso, si sta facendo in questi anni una grossa lotta per il recupero della memoria del genocidio dei rom da parte dei nazisti: il porrajmos (divoramento), a lungo ignorato. Eppure, anche la comunità afroamericana ha avuto bisogno di un’esplosione per far scoppiare quella che è diventata una delle rivolte più potenti e destabilizzanti degli ultimi anni. L’omicidio di Floyd è stato la scintilla che ha fatto esplodere il movimento.  E allora mi chiedo: e a noi che cosa servirà? Chi dovremmo perdere? Quanta umanità saremo costretti a sacrificare? Da qui, la mia vera domanda: è possibile con l’arte risvegliare l’ascolto prima di arrivare alla violenza? Rasid è artista di strada, marionettista, attivista rom. Il suo progetto vuole portare nelle piazze la storia del suo popolo, vuole parlare con le persone, raccontarsi, conoscere, lottare. Ha bisogno della strada per fare questo, vuole che chiunque si possa avvicinare al suo lavoro, che lo faccia chi è già sensibile all’argomento e chi, al contrario, stava solo passeggiando per fare shopping. Una delle marionette sarà dedicata al pugile Johann Trolmann, colui che combatteva, nel mezzo della Germania di Hitler, con su scritto sui pantaloncini Gypsy, che continuò a combattere con tutto se stesso (e il se stesso era tantissimo) nonostante tutto, che si presentò ad un incontro coperto di farina per ridicolizzare l’idea del pugile ariano, che continuò a vincere anche se tutti lo volevano spezzare. E che venne spezzato, infine, in un campo di concentramento. Leggenda vuole che morì dopo aver sconfitto un SS. Rasid vuole portare questa e altre storie nel suo spettacolo, che sarà un percorso a capitoli, che racconterà il dolore ma con leggerezza e poesia. È avviata una campagna di crowdfunding per contribuire e aiutare alla costruzione di tutte le nuove marionette,  noi non vediamo l’ora di vederlo all’opera. Voi potete sostenere il progetto a questo link: https://www.produzionidalbasso.com/project/rota-kasctuni-ruota-di-legno/

Debora Benincasa

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Il suo modo di raccontare la cultura rom è magico e appassionante ed è per questo che crediamo fermamente che il progetto a cui sta lavorando sarà un lavoro che lascerà i cuori pieni. Ne abbiamo parlato con lui nel suo nuovo laboratorio in Barriera di Milano tra marionette, strumenti da intaglio e patatine. Il progetto sta iniziando a muovere i primi passi: sarà uno spettacolo (o forse una performance, più libera) di marionette in più capitoli, da fare rigorosamente in strada, in cui ogni personaggio porterà un frammento di storia, un nodo o una riflessione rispetto all’identità rom. Il percorso sarà lungo e lento, ci vuole tempo per costruire le marionette, ed è un modo, in fondo, per attraversare dei temi che riguardano Rasid in prima persona, un atto quasi psicologico in cui attraversando il legno, attraverserà anche se stesso e ciò che sta cercando. Dopo un percorso lungo di spettacolo di intrattenimento, dove se mi andava e mi sentivo tranquillo parlavo della comunità rom ora penso sia arrivato il momento di fare qualcosa in più. La spinta per il progetto è nata in questo ultimo periodo osservando le rivolte che stanno scuotendo l’America e avvertendo un parallelo con il popolo rom: entrambe le comunità sono uscita da una schiavitù ed entrambe continuano a pagare le conseguenze, in termini di emarginazione disuguaglianza e oppressione, di quel periodo. Tuttavia, fra le due comunità ci sono moltissime differenze: Partiamo dal fatto che la comunità rom è una minoranza piccolissima, al contrario della comunità nera e in più noi non siamo uniti, siamo una comunità incredibilmente frammentaria. Solo dall’esterno e con una visione superficiale possiamo sembrare parte di un unico e affiatato gruppo, ma al nostro interno sono tantissime le diversità e le storie del nostro popolo. Il che è una nostra ricchezza ma, per quel che riguarda le rivendicazioni, è sicuramente una fragilità.  Inoltre, la storia della comunità nera è conosciuta, tramandata, se ne conoscono i simboli, i nemici, si conosce il lavoro nei campi e si sono fatti molti discorsi e rivendicazioni su ciò che sarebbe dovuto avvenire dopo la liberazione degli schiavi e che non è avvenuto (come la ridistribuzione delle terre). La schiavitù dei rom, avvenuta in Romania fino a metà dell’800 è invece praticamente sconosciuta anche al suo stesso popolo. Questa perdita di memoria favorisce l’oppressione e la mancata ribellione a regole, leggi e atti esplicitamente emarginanti e crudeli (v. la creazione e ghettizzazione istituzionale, in Italia, dei campi rom). Non a caso, si sta facendo in questi anni una grossa lotta per il recupero della memoria del genocidio dei rom da parte dei nazisti: il porrajmos (divoramento), a lungo ignorato. Eppure, anche la comunità afroamericana ha avuto bisogno di un’esplosione per far scoppiare quella che è diventata una delle rivolte più potenti e destabilizzanti degli ultimi anni. L’omicidio di Floyd è stato la scintilla che ha fatto esplodere il movimento.  E allora mi chiedo: e a noi che cosa servirà? Chi dovremmo perdere? Quanta umanità saremo costretti a sacrificare? Da qui, la mia vera domanda: è possibile con l’arte risvegliare l’ascolto prima di arrivare alla violenza? Rasid è artista di strada, marionettista, attivista rom. Il suo progetto vuole portare nelle piazze la storia del suo popolo, vuole parlare con le persone, raccontarsi, conoscere, lottare. Ha bisogno della strada per fare questo, vuole che chiunque si possa avvicinare al suo lavoro, che lo faccia chi è già sensibile all’argomento e chi, al contrario, stava solo passeggiando per fare shopping. Una delle marionette sarà dedicata al pugile Johann Trolmann, colui che combatteva, nel mezzo della Germania di Hitler, con su scritto sui pantaloncini Gypsy, che continuò a combattere con tutto se stesso (e il se stesso era tantissimo) nonostante tutto, che si presentò ad un incontro coperto di farina per ridicolizzare l’idea del pugile ariano, che continuò a vincere anche se tutti lo volevano spezzare. E che venne spezzato, infine, in un campo di concentramento. Leggenda vuole che morì dopo aver sconfitto un SS. Rasid vuole portare questa e altre storie nel suo spettacolo, che sarà un percorso a capitoli, che racconterà il dolore ma con leggerezza e poesia. È avviata una campagna di crowdfunding per contribuire e aiutare alla costruzione di tutte le nuove marionette,  noi non vediamo l’ora di vederlo all’opera. 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